Extra per voi

2023-02-22 16:43:54 By : Micro SA

Le prime visioni al cinema e le novità delle piattaforme digitali: «Il primo giorno della mia vita», «A letto con Sartre», «The Plane», «Profeti» (nella foto Isabella Nefar e Jasmine Trinca), «Un matrimonio esplosivo», «JUNG_E», «Anna Frank e il diario segreto», «La scuola cattolica», «Ti mangio il cuore», «Amanda»

(Italia, 2023, durata 121’) con Toni Servillo, Valerio Mastandrea, Margherita Buy, Sara Serraiocco, Gabriele Cristini, Giorgio Tirabassi, Vittoria Puccini, Lino Guanciale Nelle sale

Va apprezzato il coraggio con cui Paolo Genovese , il regista di Perfetti sconosciuti , il film entrato nel Guinness dei primati per il maggior numero di remake della storia del cinema, ben diciotto, affronta il tema più scottante, reso drammatico dall’incubo combinato crisi & lockdown: il confine tra la vita e la morte, o meglio tra la voglia di vivere e la voglia di morire . Quindi, la ricerca della felicità, il desiderio di essere amati e riconosciuti e l’ombra della depressione, lo svanire del soffio vitale . Non facile, no. Serviva profondità, capacità di analisi e di scrittura, anche se il film parte armato in quanto riprende il fortunato romanzo di Genovese per Einaudi del 2018. E lo affina, lo arrota, lo sviluppa, rendendolo ancora più malinconico e aspro, se possibile, rispetto alla matrice attraverso lo schema, carissimo a Genovese, del confronto / scontro in un perimetro psicanalitico / soprannaturale / pirandelliano di un gruppo di personaggi esemplari, in clamorosa crisi di autostima, travolti dal peso di esistere . In una Roma di pioggia dolente e persistente, di anime in pena e gentili salvatori, un angelo caduto dal cielo (Toni Servillo) raccoglie quattro suicidi, compiuti o sul punto di esserlo: 1) la campionessa di ginnastica Emilia (Sara Serraiocco), una farfalla che non vola più, “l’eterna seconda” finita su una sedia a rotelle dopo un volteggio sbagliato; 2) il coach motivazionale Napoleone (Valerio Mastandrea), che ha ridato energia a intere platee, ma adesso, ignorando l’amore della moglie (Elena Lietti), si sente svuotato, inutile ; 3) la poliziotta Arianna (Margherita Buy) che vive nel ricordo della figlia sedicenne, Olivia, stroncata da una rara malattia cardiaca, e si fa dilaniare dal dolore scansando le attenzioni del compagno di turno Max (Giorgio Tirabassi); e 4) il piccolo Daniele (Gabriele Cristini), sfuggito alle aggressioni dei bulli e spinto dai genitori a diventare un fenomeno del baraccone social con 900mila followers su YouTube : Daniele ha appena inghiottito quaranta ciambelle in barba al diabete e all’insulina e ora si trova intubato in un letto d’ospedale.

I quattro fantasmi avranno sette giorni di tempo, sospesi in un limbo che non è né vita né morte , per recuperare i cinque sensi, diventare visibili al mondo, imparare finalmente a volare. Non aspettatevi il solito lieto fine: i paragoni con La vita è meravigliosa di Frank Capra sono tutti impropri e pretestuosi. La cinepresa di Genovese scava e sorvola: vigila sul malessere senza sconti, evitando le pagine strappalacrime e tenendosi a distanza dalla retorica del walking dead . Come in The Place , il regista chiude i suoi personaggi in una dimensione teatral-metafisica e li costringe a scorticarsi con le proprie paure, la solitudine, i rimpianti, le nostalgie inarrestabili. Li spinge a scoprire il più fragile, a ritrovare una speranza, un’alternativa, una second life . La sceneggiatura, scritta da Genovese a quattro mani con Rolando Ravello, Paolo Costella e Isabella Aguilar, è un’alternanza di alti e bassi, di squarci di luce e oscurità: nei dialoghi, in cui la recitazione è volutamente sottolineata, nelle situazioni e nelle prospettive . Pastoso, spiazzante, profondo, fin troppo lungo e didascalico, Il primo giorno della mia vita è un confortante segnale della vitalità del cinema italiano in questa difficile fase di risalita. Gli attori sono tutti in forma, compresi nei loro ruoli, emozionati e spesso emozionanti. Curiosità: non perdete l’occasione di vedere Toni Servillo volare. Difficile che capiti ancora .

(Francia - Belgio, 2021, durata 107’) con François Damiens, Vanessa Paradis, Valeria Bruni Tedeschi, Ramzi Bedia, Bouli Lanners, Joey Starr Nelle sale

Se ci pensate bene, François Damiens, l’attor comico belga di Dio esiste e vive a Bruxelles , tutto potrebbe essere tranne che un boss della piccola malavita di provincia, tenero e scombinato ancorché spietato . Eppure, questo accade in A letto con Sartre dove interpreta l’impacciato Jeff, trafficante e taglieggiatore con moglie depressa e divano-dipendente (Valeria Bruni Tedeschi) e figlia in piena crisi adolescenziale. Jeff, che vive e opera in una cittadina portuale francese, d’improvviso s’incapriccia di una cassiera e non sa più come togliersi la graziosa personcina dalla testa. Così chiede al fratello adottivo Neptune (Ramzi Bedia) , “Neptune come la barca su cui sono nato”, di recapitarle le orrende poesie che le scrive in versi alessandrini, frutto di lezioni di gruppo dove l’uomo malmena chiunque s’azzardi a criticarle: farà centro l’ultima lirica, che però non è di Jeff. Intanto, altri due sicari (Bouli Lanners e il rapper Joey Starr) devono convincere con le buone o con le cattive i compagni di scuola della ragazzina, piuttosto bullizzata , a partecipare alla sua festa di compleanno. Mentre il fidato Jacky (Gustave Kervern) ha il compito di riscuotere il debito del contabile della banda, nel frattempo sparito, mettendo sotto pressione la moglie (Vanessa Paradis), un usignolo di donna, che è impegnata nella messa in scena di una pièce amatoriale su Jean-Paul Sartre e Simone de Beauvoir in cui il protagonista continua a cambiare. “Almeno una volta nella vita potrò essere Simone de Beauvoir!”, mentre Jacky prende una memorabile scuffia per la signora.

Dopo il Condominio dei cuori infranti , Samuel Benchetrit si muove in una sorta di villaggio dei cuori infranti. Tutti in quella baraonda sono in cerca d’affetto e comprensione. L’obiettivo, spesso inconsapevole è muovere vite grigiastre, paludose, demenziali . È il caos, esistenziale e sentimentale, a governare quel piccolo esercito di buffi egoisti e alienati che ha ormai smarrito il senso del bene e del male ma alla fine riesce a trovare ordine nel formarsi di quattro coppie: che non sono quelle che ci aspetteremmo all’inizio. Messo così, il film si configura una fiaba surreale, malignetta, piena di curve amarognole, dove si ride, si muovono le mani e molto si riflette in riva al mare : solo l’amore ci può salvare e alla fine vale questo passo del dialogo: “Un’altra pièce o un’altra vita?”. “Beh, è la stessa cosa, no?”. Il titolo originale, Cette musique ne joue pour personne , è lo specchio di un’operazione che a tratti perde consistenza, come se Benchetrit riuscisse a tirare le fila della storia solo nel finale, con un colpo di bacchetta magica. Il cast regge la sinfonia: Damiens, Bedia e Bruni Tedeschi i migliori del lotto .

(Gran Bretagna-Usa, 2023, durata 107’) con Gerard Butler, Mike Colter, Yoson An, Daniella Pineda, Paul Ben-Victor, Remi Adeleke Nelle sale

Se il film catastrofico, con i controlli in avaria e gli atterraggi di emergenza , non basta più a sé stesso perché invecchiato e risaputo, ecco di rinforzo il cinema d’avventura, bellico o parabellico, di ostaggi e aguzzini, bande di ribelli e criminali. L’innesto corrobora, ma non alza il livello. The Plane resta dunque un’opera di serie B, per nulla originale, tra Airport e la coppia Stallone & Schwarzenegger, con un protagonista, lo scozzese Gerard Butler, l’eterno re Leonida di 300, che ci mette l’anima per dare la scossa ai cento minuti di botti, turbolenze fatali, agguati nella giungla . Qui è captain Brodie Torrance, pilota coraggioso di un volo nei cieli dell’asia orientale per conto della compagnia privata Trailblazer. L’uomo è fresco vedovo e ha una figlia grandicella con cui vorrebbe trascorrere Capodanno. A bordo si ritrova 14 passeggeri e cinque membri di equipaggio con il copilota Samuel (Yoson An), l’assistente di volo Bonnie (Daniella Pineda) e il detenuto nero Luis Gaspare (Mike Colter), in manette e sotto la sorveglianza di un agente che non lo molla un momento.

L’aereo entra in una tempesta, parte degli strumenti non risponde più e Torrance è costretto a un atterraggio di emergenza in un’isola delle Filippine controllata da bande di separatisti assai feroci. In un amen i sopravvissuti diventano ostaggi dei ribelli e Torrence, scampato alla cattura, va in cerca d’aiuto accompagnato dal galeotto Gaspare che provvede al lavoro sporco. Seguono eroismi e trattative con il capo dei rivoltosi (Evan Dane Taylor) , un Che Guevara da due soldi. Intanto la compagnia invia un commando per salvare i dispersi. Il resto della sceneggiatura lo potete immaginare senza sforzo. Tra Torrance e Gaspare nasce una sintonia che diventa amicizia. Il regista Jean- François Richet, uno specialista del cinema d’azione e movimento di cui si ricordano il remake di Distretto 13 e Blood Father , non si dispiace di effettuare un poderoso copia e incolla con i classici del genere. Butler la mette sul pratico: il suo Torrence è un bel tipo di capitano coraggioso che, avendo imboccato la fase calante, trova il riscatto in nome del dovere e del binomio patria e famiglia.

(Italia, 2022, durata 109’) con Jasmine Trinca e Isabella Nefar Nelle sale

Prima di tutto, la difficoltà di essere donna nel Medio Oriente in fiamme. Contestualizzando, raffrontando, approfondendo. Alessio Cremonini (autore nel 2018 di Sulla mia pelle sul caso Cucchi) si muove su temi importanti: i diritti, la guerra, il terrorismo, il fondamentalismo islamico, il malessere occidentale . E lo fa attraverso il confronto, faccia a faccia, tra due caratteri, due visioni del mondo, due culture, due religioni. Da un lato, la giornalista Jasmine Trinca (l’ostaggio), dall’altro la mujahidin Isabella Nefar (la carceriera). Sara è una reporter capatosta abituata ad agire al fronte che viene rapita dall’Isis mentre sta raccogliendo informazioni per un reportage di capitale importanza per la sua carriera . Siamo nel 2015 nella Siria del Nord: la cattura di Sara serve ai terroristi per fare pressioni sull’Occidente, ma le leggi islamiche vietano che una donna possa essere incarcerata insieme ad altri uomini. Sicché durante la prigionia Sara avrà come carceriera la severa Nur, foreign fighter moglie di un soldato del Califfato . Il luogo della detenzione è la casa di Nur, all’interno di un campo per l’addestramento da dove la giornalista assiste all’esecuzione dei “miscredenti”, ingabbiati senza scampo e bruciati vivi . Il compito di Nur, oltre a vigilare sulla prigioniera, è doppio: farle un lavaggio del cervello attraverso il Corano e portarla alla conversione e ad abbracciare la causa islamica.

Sara resiste, contrappone i valori occidentali al modello che la miliziana propone impostato sulla vendetta, la dedizione totale, la fede estremizzata . Ritiene quei valori vacillanti, ma non si perde d’animo, fino al bombardamento finale. Come si disse dal Noir in Festival , dove il film è stato proposto in anteprima, Profeti è un viaggio nella crudeltà e nelle costrizioni anche mentali della guerra e nella coscienza sbarrata di due donne che, appartenendo a mondi divergenti, stentano a trovare punti di contatto e si allontanano dal concetto di “sorellanza”. L’esploratore Cremonini cerca pieghe narrative inconsuete per far sì che il suo racconto non risulti datato . Per dare un senso alla storia vale questo dialogo. Nur: “D’ora in poi obbedirai alle regole. Proibito aprire le finestre o uscire di casa, non imprecare, non cantare, non pregare il tuo Dio”. Sara: “Io non ho un Dio”. Nur: “Come puoi dirlo con tanta sicurezza?”. Jasmine Trinca è molto compresa nel ruolo a cui regala momenti intensi. Velo o non velo, Nafar interpreta un personaggio fin troppo negativo per far scorrer la storia come probabilmente era nelle intenzioni di Cremonini.

(Usa, 2023, durata 100’) con Jennifer Lopez, Josh Duhamel, Sonia Braga, Lenny Kravitz, Jennifer Coolidge, Cheech Marin Su Prime Video

La nuova ricetta di Hollywood è mescolare i generi, anche nei prodotti pop, allargare il pubblico usando sapori diversi . Il difficile è trovare il lievito per l’impatto: come in Il grande giorno di Aldo Giovanni e Giacomo o Ticket to paradise con George Clooney e Julia Roberts, Un matrimonio esplosivo punta sul fatidico sì, usando una star super sexy di eccezionale popolarità come Jennifer Lopez, qui anche in veste di produttrice , sfiorando temi d’attualità come la dipendenza social, e trasferendo il lieto evento nella cornice di uno splendido resort delle Filippine, dove però agiscono bande di pirati / ribelli separatisti il cui capo parla come Zlatan Ibrahimovic. Si vede benissimo che Darcy (Lopez) e Tom (Josh Duhamel) sono fatti l’uno per l’altra, anche se i dubbi della vigilia si fanno sentire . “Giura che mi terrai per mano tutta la sera”. Lei è una fatalona che ha voglia di stabilità dopo una relazione trasgressiva con l’esotico Sean, un musicista strafico tra il capo-villaggio e “la guida di un porno-safari” (è il divo Lenny Kravitz coinvolto da JLo in persona).

Tom invece è un giocatore della Major League a fine carriera, tenero, imbranatissimo . Il guaio di entrambi sono i parenti serpenti che si portano dietro: genitori, fratelli e sorelle, cugini e compagnia cantando, compresa la brasiliana Renata, interpretata dalla rediviva Sonia Braga, un tempo regina delle telenovelas sudamericane nonché protagonista del memorabile Il bacio della donna ragno di Hector Babenco con William Hurt. Una truppa male assortita di pettegoli, invidiosi avvelenati, fuori di testa. Darcy e Tom pensano di fronteggiare l’assalto dei banditi usando lacca e zanzariera : il sogno diventa un incubo, ma la buona stella assiste i neo-sposi che nell’emergenza avranno modo di cementare i loro buoni propositi. Va ricordato che il ruolo di Tom doveva essere di Armie Hammer, progetto tramontato dopo le accuse di cannibalismo avanzate nei suoi confronti. In compenso, c’è una scoppiettante JLo, da tempo in cerca di una nuova dimensione comico / brillante e ormai abbonata al ruolo di sposa “troppo bella per te” mentre le nozze sulla spiaggia sono un classico americano . Alla fine, siamo di fronte a un tipico prodotto “da piattaforma”, una lezione (all’acqua di rose) sul caos emotivo condito da sabbia bianca, palme e drink esotici. Praticamente, una farsa. Dal romantico al drammatico, il regista Jason Moore cincischia sul concetto “finché morte non ci separi” , segue lo schema del cinema di coppia, cerca l’humour pop, da serial per famiglie. La parte migliore è a metà film, quando gli ostaggi per evitare il peggio si confessano ai pirati come se fossero nel confessionale del Grande Fratello sperando (invano) di ottenerne la pietà.

(Corea del Sud, 2023, durata 99’) con Kang Soo-youn, Kim Hyun-joo, Ryu Kyung-soo Su Netflix

In un futuro lontano, intorno alla fine del 2100, sarà giocoforza decidere il trasloco della Terra nello spazio profondo . Il cambiamento climatico, il conseguente innalzamento dei mari e l’esaurimento delle risorse imporranno la dolorosa scelta. La popolazione sarà trasferita nei rifugi costruiti tra il Pianeta e i piani orbitali della Luna, come recita la didascalia iniziale. Alcuni degli insediamenti - per la precisione i numeri 8, 12 e 13 - si ribelleranno al potere centrale e attaccheranno. Sarà l’inizio di una guerra quarantennale tra la Terra e la cosiddetta Repubblica Adriana . Si aprirà una fase di morte e distruzione rappresentata dal regista Yeon Sang-ho (Peninsula e la saga Train to Busan ) come un enorme videogame, un incubo digitale, nemesi di malefatte e distrazioni dell’umanità perversa e autodistruttiva . Il migliore dei combattenti è un umanoide d’aspetto femminile, la leggendaria mercenaria Yun Jung-Yi (Kim Hyun-joo), gran sterminatrice di macchine, risvegliata dopo 35 anni di coma sotto il controllo del laboratorio Kronoid in cui la figlia del capitano Jung-yi guida gli esperimenti intesi a clonare il cervello della guerriera trasferendolo a un esercito di androidi ammazzasette .

L’azione si sposta, il film cambia direzione affrontando le motivazioni che sono alla base del progetto, le relazioni interpersonali , i caratteri e le psicologie di ideatori ed esecutori. Sang-ho si diverte a spiazzare. Ha il piglio di un esploratore mentre si aggira in zona sci-fi omaggiando, da Oriente a Occidente, i classici del genere, in nome di una fiaba pacifista ben costruita ma prevedibile. La buona pasta di JUNG_E e la sua voglia di spiazzare si vedono dopo un quarto d’oro, quando il film privilegia il versante umano . Le innovazioni coreane vengono messe al servizio di una trama fantasy-thriller che unisce riflessioni sull’incoscienza umana, dove il rimedio è spesso più nocivo del male, sul potere delle macchine, le connessioni tra madre e figlia, il ruolo femminile e i rapporti che tutti ci riguardano già ora con l’intelligenza artificiale .

(animazione, Belgio-Francia-Olanda-Lussemburgo-Israele, 2021, durata 109’) Su Sky Cinema e Now

Proposto fuori concorso al Festival di Cannes 2021, Anna Frank e il diario segreto vanta un nobile pedigree di sostenitori: l’Anne Frank Fonds di Basilea e, tra gli altri, Unesco, Claims Conference, Fondazione della Memoria della Shoah. Non è facile trovare nuova luce narrativa in una materia tanto battuta dal cinema e dalla letteratura come la vicenda della giovane ebrea tedesca sfuggita alla furia nazista, nascosta con la famiglia per due anni in un piccolo appartamento di Amsterdam in cui scrisse il famoso diario di quella segregazione, morta nel campo di concentramento di Bergen-Belsen pochi giorni prima che la guerra finisse. La trovata riguarda l’amica immaginaria Kitty, destinataria del diario, che per magica combinazione si materializza all’interno del museo costituito nella casa in cui Anna fu prigioniera dal 1942 al 1944. La causa è un violento temporale che spacca la teca in cui il testo è custodito liberando gli spiriti che in esso abitano . Il fantasma di Kitty cerca Anna ma trova vie, scuole, teatri con il suo nome, ne rivive l’odissea e confronta l’orrore di allora con la deriva attuale. Nelle strade non ci sono più le truppe del Terzo Reich con le loro croci uncinate, l’Olocausto appartiene a un doloroso passato, ma i rischi per gli oppressi non sono svaniti.

Kitty decide allora di impegnarsi in un’ultima battaglia: salvare la piccola Awa e la sua famiglia di profughi dal rimpatrio forzato . Ari Folman è il regista di Valzer con Bashir , che ripercorreva il massacro di Sabra e Shatila del 1982. Con Anna Frank e il diario segreto ricorda i nonni deportati ad Auschwitz la stessa settimana in cui la famiglia Frank varcò i cancelli di Bergen-Belsen. Ragiona sulla nuova emergenza umanitaria dei migranti alle porte dell’Europa e sul valore della memoria , difesa contro le aberrazioni della Storia. Ribaltare il punto di vista della tragedia e attualizzarla senza perdere la forza dei principi è un punto di forza del film che si avvale di 160mila disegni commissionati in tutto il mondo e coordinati dall’illustratrice Lena Guberman , capace di trasferire nell’animazione meccanica dei personaggi, nei colori della storia e nelle parole che l’accompagnano il senso di una follia. Aiutato da flashback, stop motion e movimenti digitali, Ari Folman guarda alla produzione giapponese, usa un tono fin troppo didascalico e costruisce un film suggestivo, commovente, necessario.

(Italia, 2021, durata 106’) con Benedetta Porcaroli, Riccardo Scamarcio, Jasmine Trinca, Fabrizio Gifuni, Valentina Cervi, Valeria Golino, Corrado Invernizzi Su Netflix, Prime Video, Infinity, Chili, TimVision, Rakuten Tv, Google Play, Microsoft Store, iTunes

Il peccato originale è nell’inerzia del film. La scuola cattolica di Stefano Mordini è l’adattamento per il cinema del chilometrico bestseller di Edoardo Albinati vincitore nel 2016 del premio Strega, ricostruzione di quella parte di Roma in cui maturò il delitto del Circeo . Mordini è interessato soprattutto al contesto del fattaccio, all’ambiente degenerato, strabigotto, torpido di vizi privati e pubbliche virtù che generò il massacro. Ma non può fare a meno di raccontare anche il tragico finale. Ciò crea uno sbilanciamento, soprattutto nel peso specifico dei personaggi, che non giova al film e lo rende inerte, disperso e difficile da seguire per chi non sia già al corrente degli eventi . Il divieto ai minori di 18 anni che lo colpì all’uscita è strettamente legato a questa zoppia. La motivazione del provvedimento dice: «I protagonisti della vicenda pur partendo da situazioni sociali diverse, finiscono per apparire tutti incapaci di comprendere la situazione in cui si trovano coinvolti». Il richiamo è a una sensibilità morale che negli ultimi venti minuti non fa scudo alla violenza del racconto. Tutto avvenne nella notte tra il 29 e il 30 settembre del 1975. Due ragazze di periferia, fuori dal giro dei quartieri borghesi e benestanti, Rosaria Lopez (Federica Torchetti) e Donatella Colasanti (Benedetta Porcaroli), furono sequestrate e seviziate per ore da un gruppo di giovani sadici che frequentavano un istituto cattolico romano: Angelo Izzo, Andrea Ghira e Gianni Guido, tutti poi puniti con l’ergastolo ma mai veramente pentiti.

Una delle ragazze, Rosaria, morì in seguito alle torture. L’altra si salvò in extremis fingendosi morta . Donatella Colasanti venne ritrovata nel bagagliaio dell’auto di uno dei sequestratori: ha vissuto tormentata dal ricordo dell’orrore subito e si è spenta a 47 anni per un tumore. Mordini nella prima parte insiste sulla scuola frequentata dai ragazzi, le famiglie, i rapporti bacati con i compagni di classe, i bulli e le prede sessuali, le autorità pavide o inflessibili, la madre che se la intende con i minorenni , il padre fascistissimo, lo studentello afasico che fa l’elogio di Hitler, il professore che insegna a “leggere” l’arte alimentando la morbosità volgare della scolaresca, il prete progressista ma troppo disinvolto. Nella seconda parte invece Mordini descrive il delitto. Nel film c’è un personaggio che si chiama Edoardo come Albinati: ed è l’io narrante, il punto di osservazione della vicenda . Tabù, tic, prepotenze. Le lezioni di educazione fisica, l’abbaglio dei privilegi, i riti di iniziazione. Simboli e sofismi culturali dell’epoca vengono accompagnati dalle canzoni di Lucio Battisti. I killer sono più psicopatici che militanti. Affiora il ritratto di un mondo che, fingendo sicurezza e virilità, temeva il sesso ma ne era attratto fino all’ossessione. Dove le donne diventavano corpi da dominare e «la violenza era all’ordine del giorno» . Ma nessun segno politico entra nella storia, tutto è dato per assodato. E poche sono le didascalie per ricordare il clamoroso fatto di cronaca a chi, come lo stesso Mordini, era troppo piccolo negli anni Settanta. Nel complesso molti personaggi risultano poco calibrati e questo toglie forza e autenticità alla ricostruzione degli eventi . Molti i volti noti del cast: Riccardo Scamarcio, Valentina Cervi, Jasmine Trinca, Fabrizio Gifuni, Valeria Golino.

(Italia, 2022, durata 115’) con Elodie, Francesco Patanè, Lidia Vitale, Francesco Di Leva, Tommaso Ragno, Michele Placido Su Paramount+, visibile anche su Sky Cinema senza costi aggiuntivi per gli abbonati

Non è solo la presenza trendy (ma molto incisiva) di Elodie a dare luce a Ti mangio il cuore . Calato nel micro-macro mondo della mafia rurale del Gargano, nella Puglia irrisolta e feroce, il film di Pippo Mezzapesa parte dal libro di Giuliano Foschini e Carlo Bonini e segue la faida infinita tra due famiglie rivali, i Camporeale e i Malatesta, in mezzo alle quali si insinua il clan dei Montanari guidato dal torbido patriarca Vincenzo (Michele Placido). Marilena (Elodie), la moglie del giovane boss dei Camporeale, Santo, ha una cruda love story con il figlio del boss dei Malatesta, Andrea (Francesco Patanè), il cui padre Michele (Tommaso Ragno) è l’unico superstite di un’antica strage. Attraverso un melodrammatico percorso di morte e vendetta ha recuperato un potere che vale soprattutto a proteggere i suoi cari : i figli e la devota (benché altrettanto spietata) moglie Teresa (Lidia Vitale). Il guerriero della cosca è Giovannangelo (Francesco Di Leva), seconda fila crudele.

Marilena è sensuale e, si intuisce subito, trascinatrice di sventure. Quando arriva alla processione, tra prefiche e donne velate, è un’apparizione che crea un brivido tra la folla. Oltre la liturgia mafiosa, è una donna che si ribella alle regole e cerca di darsi una possibilità di emancipazione, in quel mondo chiuso e arretrato. Andrea è invece uno sventato giovanotto, fuori posto tra clan e padrini, che fino a quel momento ha lasciato a papà tutte le responsabilità. Insomma: Romeo e Giulietta, Shakespeare e la tragedia greca tra stelle, stalle e pranzi di nozze, con tutte le conseguenze che potete immaginare e qualcuna che invece non potete immaginare . Da un lato, la presenza magmatica di Marilena / Elodie, la donna dello scandalo, e dall’altro il percorso di formazione criminale di Andrea / Patané che parte angelo e finisce diavolo. “Tu pensi di essere agnello e invece sei lupo”, dicono i boss. “Eh, lasciami la faccia!”, è l’implorazione della vittima prima che l’assassino prema il grilletto. L’elemento che più colpisce di Ti mangio il cuore è il colore.

Un pastoso bianco e nero bruno, cinereo, fangoso che è anche il colore dell’anima dei personaggi . Che accompagna l’impaginazione delle loro azioni e avvolge i loro pensieri. Un colore che sta tra la graphic novel e il grigio cupo del cinema d’inchiesta. Pippo Mezzapesa di cui ricordiamo Il paese delle spose infelici e Il bene mio cura i dettagli, i tagli delle inquadrature, le luci, misura il fuoco degli sguardi, seguendo uno schema ma sfuggendo alla trappola dei luoghi comuni, in cui è sin troppo facile incappare se si racconta una storia tanto frequentata dal cinema di sangue e fucile. Il più efficace è Francesco Di Leva (il prete di frontiera di Nostalgia e il fascista fragile di Come prima di Tommy Weber), il padrino emergente, personaggio-chiave verso una più che probabile serie tv. Francesco Patanè tende a semplificare il percorso infernale di Andrea, mentre Elodie è una scommessa vinta: una Maddalena senza paura che con molta umiltà anima la sua donna del peccato di impeto e passione. “Recitare mi ha fatto toccare vibrazioni più profonde di me stessa. È un po’ come andare in analisi”, ha detto creando un ponte per un futuro che sembra già scritto.

(Italia, 2022, durata 93’) con Benedetta Porcaroli, Galatea Bellugi, Michele Bravi, Monica Nappo, Giovanna Mezzogiorno Giudizio: *** su 5 Su Chili, Rakuten TV, Google Play

Un racconto antiborghese, post generazionale, sull’animo precario dei nostri giovani e la vita bislacca tendente all’arido che li coinvolge / travolge. Il racconto di una e più solitudini che si sfiorano senza toccarsi. L’incomunicabilità della vita reale e il desiderio-diritto di affrancarsi. Tutto questo nell’opera prima di Carolina Cavalli, Amanda . Non una commedia. Non un dramma. Semmai, l’una e l’altro. Ma soprattutto un accidentato racconto di formazione. Amanda diventa adulta facendo del rifiuto una bandiera, una difesa , il punto di partenza per trovare un appoggio e partire: 24 anni, apatica, annaspante, cammina svelta, porta abiti sformati, non ha amici. Per l’altolocata famiglia di cui fa parte è una ribelle al punto di non ritorno, una per cui non vale la pena spendere parole. Lei ricambia provocando i parenti e facendo saltare le cene comuni. In realtà, si difende, vuole sentirsi amata . Per questo, cerca una breccia, una via di fuga, una maniera per emanciparsi. Senza mezze misure gira tra ville di lusso, piscine, giardini oppure in motel infimi e quartieri malfamati con risse e sballo. Ruba un cavallo e si mette a corteggiare un balordo che le parla di quando incontrò un cerbiatto in mezzo alla strada ma al dunque le preferisce un’altra.

“Secondo me non mi succedono cose belle perché non ho nessuno a cui raccontarle”, spiega Amanda. È fuori da tutti gli schemi quando incontra Rebecca, amica di un tempo che vive isolata, chiusa in una stanza, rifiutando contatti, depressa al punto da non raccogliere i messaggi d’aiuto o di ignorare i pianti trattenuti di mamma Viola (Giovanna Mezzogiorno). La ritrovata relazione attraversa alti e bassi, generando dolore ed euforie. Ma il salto di qualità è a un passo. Amanda e Rebecca sono due eroine in bilico. Due donne in attesa di sbocciare. La maturazione non è un fatto scontato, recidere i legami con il passato è il primo passo. I riferimenti sono ai film coming-of-age degli Anni Settanta. Il contesto è aspro, caricaturale / satirico, con atmosfere stinte e suggestive. L’iperattivismo di Amanda è il tratto distintivo di una generazione vitaminizzata e pronta al successo che stenta a trovare una posizione sociale e una collocazione sentimentale. Benedetta Porcaroli cavalca il personaggio come in un flusso di coscienza, è brava e trova un promettente, sovversivo equilibrio di recitazione.